sabato 1 giugno 2013

La strana storia delle navi di Nemi - parte seconda

La strana storia delle navi romane nel lago di Nemi
Parte Seconda
Sottotitolo : credevo che ce l'avrei fatta con due post e invece non so nemmeno se me ne basteranno tre. Ma la storia si fa avvincente e ne vale la pena.
 
Ricostruzioni delle due navi di Caligola

Insomma avevamo lasciato le sfortunate navi di Caligola, distese sul fondo del lago e la loro leggenda che nonostante i divieti della legge, continuava ad essere raccontata di padre in figlio.
A quel punto lo spirito dell'imperatore, decise di intervenire:" e qui tocca fa' qualcosa, bisogna che me invento 'na magata...ah Diana! Che stai a fa'?! Damme 'na mano...nun lo vedi che 'sti rosiconi m'hanno affondato le navi mie?! Erano così belle, 'sti gran fiji de madre ignota"
"E perché proprio io ti dovrei aiutare?"
" aho, qui c'è stai solo te. E poi ricordate che quando c'erano le mie grandiose navi nel lago, da te ce venivano un sacco de fedeli, che con la scusa di venire ad adorare te, se impicciavano de l'affari mia! Daje, damose da fa'..."
Fu così che sopra il legno e il ferro che costituivano le grandiose navi, si creò uno spesso strato di melma che protesse i materiali dal tempo.
"Ooooooh, mo' sì che so' contento! Quando fra duemila anni torneranno in superficie, io tornerò in auge come una rock star...altro che oggi con questi ingrati dei miei contemporanei...questi nun capiscono niente...che dici Dia'? Te sembra che abbiamo fatto un bel lavoretto?..."
"Non mi chiamare più per gli impicci tuoi...mi sono sporcata tutte le scarpette!"
Passarono i secoli, ogni tanto un pezzo di gran valore veniva recuperato a volte casualmente, altre volte con il preciso intento di depredare quell'immenso tesoro.
Il primo tentativo 1446
Ma il primo vero tentativo di recuperare i relitti di Nemi avvenne nel 1446 da parte del cardinale Prospero Colonna, signore di quelle terre e del lago. Insomma, questo aveva di proprietà praticamente tutti i castelli romani, e giustamente voleva pure sapere cosa si nascondeva sul fondo del suo lago. anche perché tecnicamente, se fossero stati in grado di estrarre i relitti, sarebbe stata tutta roba sua, mica pizza e fichi. L'uomo di chiesa, decise di puntare tutto su una celebrità dell'epoca. ingaggiò il celebre architetto Leon Battista Alberti che a sua volta puntò tutto sui marangoni genovesi.
Questi tizi erano noti per essere i migliori nuotatori sia superficie sia in apnea che si potessero trovare a quei tempi.
insomma, il ricco cardinale voleva gloria e denaro e si rivolse all'eccellentissimo architetto. L'illustre architetto, dopo aver effettuato sopralluoghi, studi di ingegneria idraulica e dopo aver fatto costruire un'imbarcazione utilizzando delle botti vuote come galleggianti (e capirai che sforzo che ha fatto!) a chi ha mollato il compito più faticoso? A 'sti poveri diavoli i quali fecero il loro dovere in modo impeccabile. Localizzarono i relitti, diedero moltissime informazioni e misure, poi però ci rimise bocca l'esimio scienziato e progettò una piattaforma dalla quale tentarono di tirare a riva la nave più vicina con cime e ganci.
Il risultato, un totale disastro. Tira e tira, riuscirono soltanto a strappare e a danneggiare un pezzo di scafo.
Immaginatevi l'ira di Caligola:
"Fermi! no così, e stateve fermi se nun sete bòni, lasciate perde. C'avrete pure du' polmoni come du' canotti, ma coi calcoli de idraulica non c'azzeccate! Ai tempi miei si che c'avevo l'ingegneri coi controcojoni, altro che sto professorone..."

Il secondo tentativo: 1535
Il secondo tentativo fu affidato all'architetto meccanico Francesco De Marchi al servizio di Alessandro dei Medici, Duca di Toscana. questa volta si puntò tutto sull'ingegno umano e si utilizzò uno strumento detto "campana" inventata da Guglielmo di Lorena che insieme al De Marchi s’immerse nel lago. La descrizione tecnica della campana fu tenuta segreta, ma doveva essere una specie di scafandro rudimentale nel quale ci stavano in due: l'architetto e l'inventore.
Questi due furono un po' i "Gianni e Pinotto" del '500. Ne combinarono di tutti i colori sulle rive di quel lago e il bello è che l'architetto riportò dettagliatamente tutte le loro peripezie in un testo.
Apprendiamo così che nella campana, i due uomini si riuscivano a spostare lentamente, camminando sulla coperta infangata della nave guardando attraverso una specie di oblò. 
Nonostante le difficoltà, i due Calcolarono per difetto le misure della nave più vicina alla riva. Fecero anche un tentativo di cingere la nave con cordami vari per poterla sollevare con gli argani, ma tutto fu inutile e l'unica cosa che riuscirono a riportare in superficie i nostri due eroici esploratori, furono molte emorragie dal naso.
Vale la pena di riportare le parole di Francesco De Marchi in persona, perché leggendo il suo racconto personale, sembra di vedere le scene di un film e si può assaporare l'umorismo dell'epoca che a me ha fatto morire dalle risate.
Intanto a quei tempi c'era un po' di confusione e la barca era stata attribuita a Traiano, non a Caligola. Immaginatevi il nostro imperatore come può averlo preso questo clamoroso errore storico:
"De chi sarebbe sta barca?! De quello zozzone de Traiano?! Ah infamoniii, ah balordi! Ridateme la roba mia che si ve pijo ve accricco!!"
Intanto Francesco, si vantava di essere stato il primo a vedere e toccare la leggendaria barca. Queste le sue parole:
“Non mi parerà fuori di proposito di parlare della barca de Traiano; poiché il Biondo da Forlì, nella descrittione d`ltalia e il Faueno nelle anticaglie di Roma ne hanno parlato senza vederla; ma io che l’ho veduta e tocca con mano, parlarò parte di quello che saprò. Dico che la barca di Traiano è sommersa nel lago di Nemo. Passa rnille trecento quarant’anni che detta barca è nel fondo di detto lago, alla ripa che guarda verso il levante".
De Marchi, Chiamava il suo compagno di avventura, l'inventore Guglielmo, "il maestro" e ci riportava che egli poteva rimanere sott'acqua anche un'ora se c'è n'era bisogno, fino a che, a causa del troppo freddo non era costretto a uscire fuori mezzo assiderato:
"dove che maestro Gulielmo da Lorena trovò un istromento nel qual’entrava in essa; e se faceva calare nel fondo del lago, dove stava ivi un’ora, e più e rneno. secondo l`haveva da fare, overo che il freddo lo cazzava via..."
La campana. L'istromento inventato da Guglielmo di Lorena

L'architetto fece anche una dettagliata descrizione del suo incontro con alcuni pesci locali, che attraverso il vetro dell'oblò della campana, sembravano lunghi mezzo metro, ma che in realtà sono piccoli quanto un dito mignolo e che lo hanno aggredito per mangiare le molliche del pane che lui si era portato appresso per fare merenda. I pesci, scorretti, hanno puntato dritto agli attributi del povero Francesco. Lui ha cercato di cacciarli con la mano, ma quelli non se ne sono andati quasi a voler dire:"oh, sei entrato dentro casa nostra, mo' che vuoi?...quando si è ospiti, si bussa con i piedi!":
"Dico che li pesci detti Laterini, che sono in questo lago, li quali non sono maggiori del minimo dito della mano, paiono di sotto grossi come è il brazzo […] li quali, se io non ero informato di detti pesci me haveriano posto paura per la gran moltitudine, che abbondavano alla volta mia; massime che io portai quattro onze di pane, e una de formaglio con esso meco per magnare; e perchè il pane era duro et nero se sbrizulava, dove concorse tanta moltitudine de pesci che mi cingevano intorno, dove che io era senza braghe m’andavano a piccare in quella parte che l’huomo può pensare, e io con le man li dava, ma non curavano nulla, come quelli che erano in casa sua".
Il povero architetto, racconta anche abbondantemente del problemino della pressione che da che mondo è mondo, turba le orecchie di chi si inabissa. Se non si applicano i metodi giusti si rischia un barotrauma. I nostri due impavidi, se lo sono beccati di sicuro e probabilmente dopo quella incredibile avventura, sono diventati sordi come campane.
"Ancora il maestro Gulielmo mi volle turare le orecchie con del bambaso, con del muscho, e altri odori; ed io non volsi[...] ma sentiva bene il tuono dei sassi, che battevano l’uno con tra l’altro, sotto l’acqua un mezzo brazzo e più si sentiva dei martelli battere l’un contra l’altro, dico in modo che mi offendevano le orecchie […] Hora nell’andare giù sotto l’acqua io sentiva una passione nell’orecchie tanto grande che pareva che mi fusse posto un stillo d’azzale, che mi trapassasse dall’una orecchia all’altra: grandissimo dolore io sentii; dico che fu tale che mi si rompete una vena del capo, ch’l sangue mi usciva per la bocca, e per il naso dove che quando io cominciai a battere con il martello nella barca, mi cominciò a moltiplicar il dolore, e abondare il sangue […] quando io fui […] fuori dell’instrumento, era tutto sangue il giupone bianco, ch’io haveva a dosso […] 
Certo non fu tutto rose e fiori, ma lo spettacolo che si mostrò agli occhi dei due valorosi esploratori, li ripagò di tutto.
"V’erano poi altri infiniti chiodi di metallo, li quali erano tanto lucenti e intieri che parevano che fossero fatti quella settimana, li quali chiodi erano di infinite misure […] ma è ben vero che li più piccoli havevano più largo il capo, come è una di un terzo di scudo di argento, e sotto vi erano corti raggi di rilievi a similitudine di una stella; li quali chiodi erano posti per di fuori della barca, e quelli tenevano le lastre de piombo e la vela di lana coperta d’una mistura che sapeva di buono, e ardeva facilmente, questa era tra le sponde della barca e il piombo.”

"Ma che state a fa'? oggi le comiche?! ma tu guarda sti due impediti! ma 'ndo vanno così conciati, senza manco le mutande...Ancora non è tempo, levateve dalle navi mie che ve fate pure male, lasciatele sta'...guarda che schifo tutto quel sangue dar naso...me parete du' regazzini mocciosi" Caligola scuoteva la testa e si prendeva gioco dei due valorosi ricercatori.
Dopo questo tentativo tragicomico, nessuno si interessò alle navi di Caligola per quasi trecento anni.
l'argomento non sembrava più suscitare alcun interesse da parte di storici e studiosi in genere. addirittura per anni si diffuse la credenza che queste navi non esistessero e che il povero De Marchi avesse inventato tutto. Poveretto, dopo che lui è "il maestro" quasi ci sono morti dissanguati dentro quel "trabiccolo".
i Senatori romani sembravano aver avuto finalmente la loro vendetta. le navi di Caligola giacevano silenti, forse destinate all'oblio.
lo spirito di Caligola si aggirava inquieto per i boschi nemesi. Dava il pilotto a tutti gli altri spiriti della zona, scomodò divinità ed esseri mitologici di tutti i tempi, ma nessuno sembrava avere più tempo per lui.
" Ve possino ammazzavve a tutti quanti. Infamoni che nun siete altri...eh ma ride bene chi ride per ultimo...mo' comincio ad apparire in sogno a tutti quelli che c'hanno quattro soldi in questa città, e poi vedremo si se ricorderanno de me!!"

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