"Chi?" Gli domanda la segretaria fighetta da dietro gli occhiali all'ultima moda
"La Strana, dai, quella sempre di corsa, vestita male che spesso parla da sola. Quella che chiamiamo quando abbiamo queste pratiche incasinate"
"Capito. Il caso umano. Quella che crede che Birkin sia un personaggio dei cartoni animati" sentenzia la segretaria mentre continua a digitare parole incomprensibili con le sue dita perfettamente smaltate e decorate shabby chic.
Così lo smemorato mi telefona una settimana fa tutto trafelato chiedendomi di fare il miracolo. Si trattava di sistemare un pasticcio presso il Comune di Ladispoli ma bisognava farlo in fretta. Avevo le ore contate, cinque giorni al massimo per portare a termine un lavoro che quelli bravi fanno in due settimane e io in quattro, come minimo. Tuttavia, più che per il lavoro in sé io ero preoccupata del fatto che non sarei mai riuscita ad arrivare sana e salva a Ladispoli, "Una settimana io la impiego solo per trovare la strada" era l'unica cosa che riuscivo a pensare mentre quello continuava a cianciare illustrandomi per filo e per segno la problematica.
Non chiedetemi perché, non so mai il perché, ma ho accettato il lavoro e atteggiandomi a professionista navigata ho risposto:"Vediamo cosa si può fare" poi ho sparato una serie di termini da addetti ai lavori messi lì a caso, senza alcuna logica e ho concluso con un "Tutto chiaro?"
Non chiedetemi il perché, io non lo capisco mai il perché, ma il cliente mi ha assegnato il lavoro.
Roba che se non fossi già esaurita persa, mi sarebbe venuto l'esaurimento nervoso di sicuro in questa settimana.
Il mattino dopo è cominciato malamente. La sveglia mi ha sorpreso nel pieno del sonno facendomi saltare in piedi di scatto esclamando :" due chili di carciofi sulla teleferica!"
Ma che faccio la spesa pure nei sogni?
Mi girava la testa, avevo la nausea, ho infilato la porta del bagno e lì ho dovuto constatare che anche il risveglio dei miei intestini sarebbe stato drammatico, infatti ho pagato cara una voglia irresistibile di cachi che mi aveva travolto nei giorni precedenti e che io ho assecondato mangiandone fino a tre al giorno.
Non fatelo mai.
Dunque ho passato la mia ora di beata solitudine, quella fra le sei e le sette del mattino (la migliore della giornata a dire il vero e voi direte "pensa le altre") a preparare colazioni, merende, zaini che poi qualcosa te la dimentichi sempre, tisana detox, frutta, caffè e poi ho dato la sveglia come tutte le mattine al resto della strampalata truppa:
Questa frase, gridata con il tono di un colonnello dei Marines, in casa mia scatena l'inferno.
Tutte le mattine.
La polpetta si rintana sotto le coperte e al grido di "A me la prima elementare fa schifo! Non andrò più a scuola finché non cominceranno ad insegnarci le tabelline!" porta avanti la sua ribellione contro il sistema scolastico italiano.
La Charmant si ricorda improvvisamente di un compito da fare, o di una lezione da ripetere oppure ti deve raccontare qualche episodio gravissimo accaduto il giorno prima che però lei all'uscita da scuola aveva incredibilmente rimosso per ricordarselo solo in quel preciso istante.
Mi immagino sempre che una volta uscite dal cancello, lo Strano si appoggi sfinito alla porta di casa, faccia un gesto di esultanza tipo goleador e si diriga accennando dei passi di samba verso il tavolo della cucina.
Beato lui. In quel momento comincia la sua ora migliore.
Io invece in quel momento comincio una corsa contro il tempo e anche contro tutti i pianeti avversi dell'oroscopo.
Ammesso di riuscire a superare indenni la fottuta rotonda che crea più fila di sei scioperi e dell'udienza generale del papa messi insieme, si deve riuscire a trovare parcheggio, poi ci sono da comprare le merende, gli eventuali buoni pasto, la colla, la matita, la penna, la gomma o forse un flauto, chissà, ogni mattina è una sorpresa, poi ci sono le cartelle da portare in classe, ma mi raccomando senza sbagliare banco e infine aspettare che le Stranette si avviino sfilando verso la classe mandandomi baci languidi con gesti teatrali.
In altre parole, una discesa agli inferi.
Tutte le cacchio di mattine.
Quella mattina in particolare qualche spirito malvagio aveva proprio deciso che io avrei dovuto avere una giornata di merda.
Impreco di nuovo, il cellulare smette di suonare. Sento arrivare un paio di messaggi a ripetizione. Mi rassegno al fatto che potrò saperne di più solo una volta arrivata a destinazione.
Finalmente supero l'infernale rotonda e raggiungo la scuola. Lì ho una botta di culo pazzesca perché arrivo nell'istante preciso in cui una macchina sta lasciando libero un posto. Esulto e mi infilo baldanzosa nel posto auto più ambito di tutta la scuola: quello di fronte al cancello. Io mi illudo che quello sia un segno che la fortuna ha iniziato a girare dalla mia parte, in realtà lo spirito maligno che ce l'ha con me, in quel momento si era solo distratto per guardare il culo del trans che passa tutte le mattine su quel marciapiede ancheggiando come una pazza.
Finalmente riesco a scendere dalla macchina e posizionandomi a faccia in giù e sedere in su con fare poco aggraziato, riesco a gran fatica a recuperare il telefono, nel mentre sento gli occhi del gommista puntati dritti sulle mie chiappe.
Leggo i messaggi. È il mio collega:
"Buongiorno, ho provato a chiamarti ma appare chiaro che la tua sordità ha ormai raggiunto livelli preoccupanti. Volevo informarti che ieri abbiamo dimenticato sulla scrivania un'importantissima parte del lavoro da consegnare. Ora ho le carte qui con me ma dovrai passare a prenderle tu prima di andare a Ladispoli"
"Dimenticavo di dirti che il bambino ci ha vomitato sopra, ma niente di grave, sono riuscito a pulire in modo decente. Dovrebbero andare bene lo stesso".
Non reagisco, non commento, ho un rigurgito di rabbia che rispedisco immediatamente in fondo al mio stomaco, dove probabilmente mi procurerà danni irreparabili, decido che mi occuperò più tardi del problema perché ora mi devo concentrare sul l'ingresso a scuola. Trascinando le mie figlie per mano arrivo all'alimentari dove un uomo lentissimo prepara due panini al prosciutto cotto. Mentre quello affetta e io scandisco i millesimi di secondo battendo con il piede per terra, mi viene in mente che oggi la polpetta ha inglese.
Confido nella estrema autonomia della mia secondogenita che solitamente si prepara la cartella da sola senza sbagliare mai un colpo. Faccio male.
"Polpetta hai messo tu il libro di inglese nella cartella, vero amore?"
La polpetta intenta ad osservare delle elegantissime bottiglie di grappa, mi risponde senza nemmeno guardarmi, ammaliata da quei liquidi nobili e trasparenti:" perché oggi che giorno è?"
Il senso di colpa mi assale. Ieri ho pensato a mettere nella cartella della Charmant il flauto e mi sono dimenticata del libro di inglese della polpetta. Non è colpa della bambina, è colpa mia. È sempre colpa mia. Anche il fatto che il figlio del collega abbia vomitato sui fogli che devo consegnare al Comune di Ladispoli probabilmente è colpa mia.
Mi volto verso la Polpetta che ha le lacrime agli occhi. "Non preoccuparti amore, passo da casa a prenderlo" le dico sconfitta e con il cuore in frantumi a causa dei lucciconi negli occhi di mia figlia.
Finalmente l'uomo più lento del mondo ha finito di preparare i panini, glie li strappo dalle mani, pago e corro verso la scuola.
Correndo chiamo lo Strano e gli chiedo se per caso lui riesce a passare da scuola per portare il libro alla Polpetta. Mi risponde che non può perché allungherebbe troppo e farebbe tardi al lavoro. Lo liquido senza troppi convenevoli e continuo a correre.
Arriviamo giusto in tempo. Inizia la sfilata della Charmant. La saluto festosa mentre lei con fare affranto mi chiede un ultimo abbraccio prima di mettersi in fila. Ma che gli faranno a questi bambini a scuola?!
Mi posiziono e aspetto il passaggio della polpetta. Siamo io e il papà avvocato di un'altra bambina; tutte le mattine ci incontriamo lì e ci dimostriamo reciproco rispetto e comprensione mentre aspettiamo la maestra che è immancabilmente l'ultima ad arrivare.
"Oggi ho un'udienza in corte d'appello, se faccio tardi sono rovinato"
Mi confida lui fremendo.
"Zitto va" gli rispondo io disperata "io devo arrivare a Ladispoli e non so manco dove sta"
In quel momento passa la mamma bassissima di un compagno di classe della Charmant.
"Ti prego, mi fai la fila per comprare un buono pasto?! Io devo portare il bambino fino in classe, ho fatto tardi" mentre lo dice mi appioppa i soldi in mano e scappa urlando "Mi dai il resto ora che scendo, grazie"
Non faccio in tempo a dire di no perché è già scomparsa nascosta dalle altre mamme tutte più altre di lei.
Porca Eva penso io ma intanto mi metto in fila. Un papà davanti a me ci mette una vita a pagare questo santissimo buono pasto e nel frattempo sfila la Polpetta. Io la saluto con un sorrisone e lei con il labiale e uno sguardo disperato mi ricorda il libro di inglese. Il le faccio il pollice alzato e intanto mi maledico per aver accettato di comprare il buono pasto alla bassissima rompipalle.
Finalmente acquisto il buono pasto, mollo il resto ad un'altra mamma a caso dicendole di darlo alla donna più bassa che vedrà passare e scappo.
Entrando in macchina realizzo che lo Strano ha il telecomando del cancello con la batteria scarica e quindi sarei dovuta passare comunque da casa per liberarlo.
Mentre viaggio alla velocità del suono con mille pensieri in testa che mi raggiungono a malapena tanto vado veloce, il telefono riprende a squillare.
Questa volta l'ho messo nella tasca del cappotto ma infagottata e legata dalla cintura di sicurezza come sono, per recuperarlo mi tocca fare delle contorsioni degne di una circense. Il telefono smette di squillare nel momento in cui lo recupero. Non so come sia possibile ma mentre tento di aprire lo sportellino della custodia per vedere chi era a rompermi l'anima questa volta, mi cade di nuovo. Sempre nello stesso punto!
E porca vacca però.
Il telefono riprende a suonare, smette, riprende, smette, riprende.
È senz'altro mio marito.
Avrà realizzato che è prigioniero in casa propria, mi dico. Accelero.
Arriva un messaggio che io non posso leggere e in quel momento guardando il quadro mi accorgo che non sto viaggiando a gas ma a benzina. Guardo l'indicatore e realizzo che mio marito ieri mi ha esaurito il gas quando gli ho dovuto prestare la macchina per via delle targhe alterne e anche il serbatoio della benzina è in riserva.
Lo ammazzo penso. Rallento. La benzina costa oh.
Finalmente arrivo a casa dove mi illudo di trovare il mio consorte già pronto vestito di tutto punto sulla porta di casa.
Entro parlando da sola, e mentre afferro il libro di inglese comunico allo Strano che il cancello è aperto e che può uscire.
È lì che lo scroscio dell'acqua della doccia mi rivela che quel balordo è ancora sotto la doccia.
"Ma non avevi fretta tu?! Ancora così stai? Che cacchio hai fatto finora?" Lui mentre si strofina impunito mi risponde "come che ho fatto? La colazione, la cacca, poi ho ho tolto i panni dall'asciugatrice e ora mi faccio la doccia. Che dovevo fare?!"
Questi sono i momenti in cui una rimpiange di aver buttato quegli zoccoli di legno che portava negli anni '80 e di non essersi iscritta alla scuola calcio femminile. Perché se avessi potuto e saputo farlo, gli avrei tirato una zoccolata con quei tiri a palombella in cui l'oggetto calciato parte dal piede e fa una parabola perfetta finendo sulla testa del proprio innamorato.
Riesco a raggiungere il collega che mi tira i documenti dal finestrino della sua macchina e riparto verso la scuola delle Stranette.
Arrivo trafelata e inchiodo dritta in un parcheggio a pagamento. Naturalmente non ho né spicci né tempo per fare il ticket quindi confido nel fatto che il trans fa spesso avanti e indietro su quel marciapiede e che lo spirito maligno che mi perseguita si distragga di nuovo.
Faccio irruzione nella classe della polpetta e le porto il libro e un bacio. Lei mi blocca e mi sussurra all'orecchio:" uno, ho perso l'alfabetiere e qualcuno la pagherà cara per questo, due mi prendi un po' di sabbia a Ladispoli? Quella nera che mi hai preso l'altra volta, ti prego, ti prego, ti prego..."
Me la stacco dal collo e per farla tacere acconsento.
Mentre sono sulla porta la maestra timidamente mi chiede:" mi scusi, giacché è quì, le posso chiedere se mi va ritirare una busta in segreteria? Se non ha fretta naturalmente..."
" No che fretta, si figuri, vado subito..."
Mi ributto in macchina e constato sconvolta che sono quasi le dieci del mattino. Ho due ore scarse per arrivare a Ladispoli, passare dal cliente a prendere un ultimo documento e poi protocollare tutta la pratica al comune. L'impresa è disperata. Incrocio le dita e parto.
Arrivo sul raccordo e il mio ottimismo crolla a picco. C'è una fila ininterrotta fino all'Aurelia.
Non so come, ma procedendo a passo d'uomo per la maggior parte del tragitto riesco a raggiungere l'Aurelia. Le mie coronarie me la faranno pagare per questo, ma intanto sono sulla retta via.
Chilometri percorsi fin là, mille mila.
Non ricordo molto della mezz'ora successiva, so solo che alla fine ho raggiunto il municipio di Ladispoli e ho protocollato alle 11.30.
Realizzo che ho addirittura il tempo di fermarmi a prendere la sabbia per la polpetta prima di precipitarmi a riprenderla a scuola perché ha la tosse e oggi non vorrei lasciarla al doposcuola quindi parcheggio alla bene e meglio sul lungomare e schivando una ventina di ragazzini che si sbaciucchiano (ma questi non dovrebbero stare a scuola a quest'ora?) infilo una bottiglia nella sabbia e prelevo il mio campione.
Torno verso la macchina sentendo una gran puzza e augurandomi che non sia la sabbia a puzzare così ma qualche fogna.
Una volta rientrata in macchina riparto di slancio determinata ad imboccare al primo colpo la strada giusta. Malgrado mi allontani dal tombino dal quale avevo sperato provenisse la puzza, l'afrore quasi si intensifica.
Comincia a venirmi un dubbio. Che abbia pestato una merda?
Infilo l'Aurelia miracolosamente e la puzza è insopportabile. È indubbio. Ho pestato una merda.
Accosto, scendo e comincio a strusciare il piede sull'erbetta a bordo strada. Con un fazzoletto di fortuna pulisco il tappetino. Mi fa schifo. Mi fa tantissimo schifo, ma non ho tempo di pensarci.
Sorrido esausta mentre la polpetta mi abbraccia e mi dice "Hello!".
Sono sopravvissuta. Fino alla prossima emergenza.